sabato 1 novembre 2008

Calosso

Ed eccomi, sempre in ritardo ovviamente...e mi scuso anche per la stragrande maggioranza di foto controluce..
Oggi parlo del castello di Calosso paesino quasi ad un passo da casa mia.

Il castello è antecedente all'anno 1000 anche se viene più volte rimaneggiato e ricostruito in seguito a eventi bellici e ristrutturazioni. Nel 1318 il paese di Calosso viene coinvolto nel conflitto tra i guelfi della famiglia Solaro e la famiglia ghibellina De Castello di Asti. I guelfi, oltre al castello di Moasca, distrussero anche il castrum di Calosso che venne immediatamente riscostruito per rientrare tra i possedimenti di Valentina Visconti d'Orléans nel 1387. All'inizio del XVII secolo Calosso venne assediata dagli spagnoli e in seguito recuperata dai Savoia, grazie anche al capitano Catalano Alfieri che, a capo delle truppe francesi, fece cingere di enormi palizzate tutto il castello.
Nel XIV secolo la famiglia dei Roero di Cortanze diventano i signori di Calosso e, perduta ogni importanza strategica, nel tardo XVII trasmormano il castello in una elegante e signorile dimora di campagna.

Iniziamo il giro di visita

Il castello oggi è molto piu piccolo rispetto a quello che doveva essere una volta e comprendeva anche la parte che oggi viene chiamata "borgo medioevale".


Quello che ci attende oggi quindi è un insieme di corpi a forma di L con una torre cilindrica con merli guelfi.

Molto interessanti sono i bastioni cinquecenteschi, che presentano ancora le aperture delle casematte e le feritoie. Nella prima foto vediamo anche una posterla, lo stretto e basso passaggio che attraversava le mura. Accediamo all'interno del parco mura tramite il portone seicentesco che reca lo stemma dei Roero (le tre ruote).






Dal portone saliamo e dopo aver superato un piccolo edificio ci troviamo nel cortile su cui si affaccia una piccola cappella.

Le stanze interne a cui ci è possibile fare visita comprendono un grande salone utilizzato per i ricevimenti, uno studio e una cappella, luogo in cui morì nel 1683 il Vescovo De Sauli. Il pavimento, come tutti i castelli dei conti Roero è rigorosamente rosso sangue.






















Terminiamo la visita nel borgo storico, un tempo facente parte del castello, che comprende svariati edifici (inclusa la chiesa di San Martino) e una torre circolare ribassata.













Alla prossima!

venerdì 10 ottobre 2008

Monticello d'Alba e Roddi

Buongiorno a tutti.. Oggi volevo parlare di due castelli situati nel cuneese, il castello di Monticello d'Alba e quello di Roddi.

Iniziamo con il castello di Monticello..

L’epoca esatta della fondazione del castello non è sicura ma esisteva già prima dell’anno mille, come risulta dai documenti della Chiesa d’Asti.
Si ritiene che i Vescovi Conti lo avessero fatto costruire a difesa dei confini dell’antico contado di Asti, dopo la calata dei Saraceni, che nel 920, discesero dalle Alpi, distruggendo ed incendiando molte città del Piemonte. I vescovi Conte eserciteranno il loro potere fino al 1372. Nella storia del castello si ricordano i due più importanti assedi. Il primo ebbe inizio nel 1187 e terminò nel 1190. In quel periodo, il vescovo di Asti aveva affidato il castello ai signori De Govono, i quali gli si erano ribellati. Il vescovo si vedeva così costretto a chiedere aiuto agli Albesi, i quali accorsero a mano armata in sua difesa e dopo tre anni di lotta liberarono il castello. Il secondo assedio al castello avvenne nel 1372. In quel tempo il vescovo di Asti aveva insediato nel castello un suo vassallo, molto prepotente e violento: Ludovico Malabalia, il quale tiranneggiava e maltrattava la popolazione di Monticello. I monticellesi esasperati chiesero allora l’aiuto dei Conti Roero, nobili di Asti e signori di Monteu, che erano tra i più illustri e potenti feudatari di quell’epoca. I Conti Roero accorsi in aiuto degli abitanti di Monticello, erano quattro fratelli di nome Percivalle, Aimonetto, Andrea ed Antonio. Essi, a capo delle loro milizie, posero l’assedio al castello e dopo aspre battaglie lo conquistarono, liberando così i monticellesi dalla tirannia del Malabalia, che venne rinchiuso nelle prigioni di Asti. Dopo questa vittoria, in riconoscenza di questa nuova benemerenza acquistata dai Roero in difesa dei diritti della Chiesa d’Asti, il Vescovo rinunciò in loro favore al feudo di Monticello. I Roero si insediarono quindi nel castello e il Papa Gregorio XI, concedeva ai nuovi castellani l’investitura in data 4 giugno 1372. I Conti Roero sono tuttora i proprietari del castello e vi abitano stabilmente.

Partiamo con la visita ora! Il Castello di Monticello è uno dei meglio conservati in Piemonte, ha una forma quadrata con una torre quadrata inclinata di 45° e un torrione rotondo sul lato destro.


Tutto il complesso è circondato da un ampio giardino, ottenuto dall'abbattimento degli spalti e dal riempimento del fossato durante i restauri del 1785.

L'ingresso principale al castello ci è permesso tramite uno scalone, che ha sostituito il ponte levatoio nel 1785. Sulla facciata troviamo i resti di due meridiane ormai scomparse e gli stemmi della casata dei Roero.

Da notare la lunga fila di caditoie merlate del camminamento di guardia ancora in ottimo stato.









All'interno troviamo una sala d'armi con numerosi cimeli appartenenti alla casata. Proseguiamo passando dinnanzi alla Cappella gentilizia e tramite una doppia rampa di scale della torre rotonda accediamo al piano superiore. Il primo piano è formato da grandi saloni, che conservano l’impronta delle dimore medioevali.
A questo piano troviamo il piccolo cortile interno da cui un tempo si accedeva direttamente tramite il ponte levatoio.

L'ingresso al secondo piano è possibile solo tramite la scala a chiocciola della piccola torre ottogonale presente nel cortile.

Nella seconda foto del cortile possiamo vedere una pietra nell'angolo sopra la galleria coperta. Secondo una leggenda si tratta di un portafortuna per la casata dei Roero finchè rimanga li.. cosa che può anche essere vera in quanto i Roero sono i padroni del castello da circa 700 anni..

Passiamo ora a Roddi.

Il nucleo più antico del castello risale all'anno Mille, le prime notizie della costruzione infatti si trovano in un documento del 1197. Nel Trecento venne infeudato ai Falletti, famiglia albese di antica nobiltà e appartenne dal 1526 a Gaio Francesco della Mirandola, nipote del grande filosofo e umanista Pico, mentre nel 1690, passò ai Della Chiesa. Dopo il 1814, data che segna il Congresso di Vienna, il quale mira a riportare al trono le vecchie dinastie, il castello, passa alla casa sabauda, per divenire di proprietà Comunale nel 2001.

Il maniero, che si erge alto e possente, ha una pianta a forma di L con un corpo centrale a tre piani e due poderose torri; su di un angolo si erige la torre maestra, alta e snella, dal lato opposto, una più piccola e pensile.

Come a Monticello si vede il camminamento merlato con le caditoie anche se qua murate per ottenere un piano ulteriore.

Dall'esterno è possibile notare i diversi momenti di costruzione dell'impianto: si distinguono, infatti, la parte verso la valle, più antica, con il mastio centrale, e quella invece rivolta verso la chiesa, edificata in epoca più tarda.


L'accesso al castello avviene dalla piazza della Chiesa salendo a sinistra della stessa e passando attraverso lo spazio ove un tempo era un ponte levatoio di chiusura del sito fortificato; alla cima della rampa si arriva ad un cortile cinto da un muro con cancello settecentesco.

La visita interna è possibile quasi nella sua totalità e ci si trova in un susseguirsi di tante piccole stanze molto spartane e alquanto trasandate per il lungo periodo di abbandono a cui è stato sottoposto il castello.
Al primo piano troviamo gli impianti delle cucine, dispense, forni e una serie di piccole celle utilizzate probabilmente per la prigionia.




Al secondo piano (l'ingresso dal cortile immette a quasto piano) troviamo l'unica grande stanza del castello e dei resti di intonaco dipinto nello stretto corridoio che portava alla cappella.

Terminiamo la visita salando al terzo piano dove è presente una latrina, cosa assai rara in un castello, e gli ampi locali del sottotetto ricavati dalla chiusura delle caditoie.


Concludendo, due castelli costruiti nello stesso stesso periodo, vicini ma dall'aspetto completamente diverso..

Alla prossima!!

giovedì 2 ottobre 2008

Burio

E rieccoci qua.. ottobre.. certo che il tempo passa in fretta!

Oggi pensavo di riproporre alcuni miei vecchi viaggi visto che il tempo per nuove visite purtroppo scarseggia.. rimaniamo vicino a casa quindi, più precisamente nella frazione di Burio.

Il Castello di Burio si presenta, come un insieme di costruzioni dai corpi risalenti a epoche differenti, il cui nucleo principale probabilmente del XIII secolo.
Non ha mai ricoperto una funzione particolarmente strategica, essendo destinato prettamente ad uso agricolo. In epoca medioevale è stato di proprietà delle diverse famiglie astigiane che ricoprirono la Signoria di Burio, dai Pelletta ai Roero, dai Malabayla ai Pallio.

Nel XVII secolo fu al centro della guerra fra la Spagna e l'esercito guidato dal duca Carlo Emanuele I di Savoia.
Nei secoli successivi passò alla famiglia Asinari, prima che la proprietà venisse frazionata in quote, poi unificate e riacquisite nel XX secolo dal conte Luigi Lanzavecchia.

Iniziamo ora la visita di questo maniero dall'aria tetra e misteriosa..

Si accede al castello tramite un piccolo ponte levatoio (ancora funzionante) della torre a pianta quadrata.
Superato il corpo di guardia si accede al vasto cortile delimitato su un lato da una scarpata e sui restanti dai corpi del castello. Nel cortile si creano molti angoli suggestivi in un mescolando di ordine e disordine.
Entriamo ora nella parte piu antica, dove troviamo gli unici locali affrescati rimasti in tutto il maniero. Alcuni locali sono resi abitabili da alcune famiglie svizzere (che hanno acquistato il castello nel 1980) con arredamenti moderni piuttosto originali.
Ne deriva quindi un susseguirsi di stanze moderne e stanze rimaste originali che fanno un effetto piuttosto particolare.
Terminiamo il giro nei sotterranei dove è presente un pozzo interno costruito in mattoni della profondità di 40 metri e un cunicolo che si dice, colleghi il castello di Burio a quello di Costigliole.
Usciamo dal secondo ingresso, protetto da una torre ottogonale merlata e attraversiamo il giardino..
e anche oggi il mio dovere l'ho fatto ;P
Alla Prossima!!

mercoledì 17 settembre 2008

Prunetto e Monesiglio

Oggi (ok non è proprio oggi ma domenica 7) ho visitato i castelli di Prunetto e Monesiglio con una compagnia d'eccezione, Lollo e Davidino.
Iniziamo dal castello di Prunetto, nella provincia di Cuneo. Fondato tra il XII - XIII secolo a ridosso di una torre d'avvistamento quadratata del XI sec. dalla famiglia dei Del Carretto.
I Del Carretto, potente famiglia di origine genovese, lasciarono il posto agli Scarampi nel XVI secolo, ma il feudo rimase sempre indipendente e sotto tutela imperiale fino al passaggio a Casa Savoia nel 1735.

Il castello si presenta come un massiccio blocco quadrato con una torre circolare presso l'ingresso e una quadrata sul retro. Appaiono numerose bifore ogivali su tutto il complesso recanti lo stemma dei Del Carretto, fatte aprire verso il XV-XVI secolo, che ne ingentiliscono la struttura.
Superato l'ingresso, una volta munito di ponte levatoio, ci troviamo in un minuscolo cortile interno provvisto di un pozzo (cosa tra l'altro fondamentale in qualsiasi struttura fortificata per sostenere un assedio) e cisterne per la raccolta dell'acqua piovana.
Suggestivi i locali sotterranei, utilizzati come scuderie e prigioni.









La visita termina passando in rassegna le stanze del piano superiore e nel sottotetto dove è presente una mostra sugli asini utilizzati dai militari.
Una volta fuori, a poca distanza, vediamo l'antica porta nella cinta muraria che permetteva l'entrata al borgo.







Lasciato Prunetto ci dirigiamo al paese vicino di Monesiglio.





Il castello, detto "dei Caldera", risale al 1221 voluto dal Marchese d'Aleramo. Il Castello passò poi alla famiglia nobile dei Caldera che nel XVII effettuarono numerosi interventi di ristrutturazione che lo trasformarono in un palazzo di stile tardo gotico.
Il complesso, a forma di L, ha una torre quadrata presso l'ingresso principale con i merli in stile ghibellino, e guelfo sull'ingresso (aggiunti in seguito a restauri nel 1900).
Di grande interesse l'area dei sotterranei con le cucine del maniero, il corpo di guardia, la sala degli interrogatori, la ghiacciaia e le prigioni.










Saliamo al piano superiore, quello nobile, attraverso una stretta sala con la volta a crociera dove ci aspetta la sala "rossa" della contessa (una camera da notte), e la prestigiosa sala degli stemmi.

Questa sala contiene tutti gli stemmi con cui la famiglia Caldera si legò negli anni.

L'ultima parte che attraversiamo è quella edificata nel 1600 e trasformata agli inizi del 1900 in pensionato, oggi dismesso (anche se però tutte le brutture rimangono.


Ultima nota è la cappella interna del castello totalmenta affrescata di cui oggi si sta effettuando il recupero.

lunedì 8 settembre 2008

Forte di Vinadio

La fortificazione di Vinadio è da considerarsi fra gli esempi di architettura militare più significativi dell'intero arco alpino. I lavori di costruzione della fortezza, voluta da Re Carlo Alberto dopo la distruzione del Forte di Demonte, iniziarono nel 1834, per concludersi solo nel 1847.

Nonostante una breve interruzione, dal 1837 al 1839, in soli undici anni si realizzò un vero capolavoro dell'ingegneria e della tecnica. In caso di necessità, il Forte si presentava con un presidio pari a 1800 uomini e circa 45 pezzi di artiglieria.
Durante la Prima Guerra Mondiale il forte fu utilizzato come campo di prigionia per i soldati austriaci ma fu nella Seconda Guerra Mondiale che il Forte fu richiamato in attività.


Infatti, venne designato come 14° Caposaldo Vinadio del Vallo Alpino del III Settore "VALLE STURA" Sottosettore III/a "Valle Stura di Demonte".
Il Caposaldo era formato dalle seguenti opere: Forte Neirassa, armata con due mitragliatrici, Fronte superiore, una mitragliatrice, Bastione centrale, con due mitragliatrici e un cannone anticarro, Fronte inferiore, con due mitragliatrici e un cannone anticarro e Fronte di gola, con una mitragliatrice e un cannone anticarro. Il fossato del Forte venne trasformato in un fosso anticarro con l’aggiunta di ostacoli e reticolati e il ponte della statale dotato di fornelli da mina. Fu iniziata anche un’opera in galleria destinata ad ospitare il comando della divisione Livorno, di cui oggi rimangono gli ingressi murati.
Nel 1945 i tedeschi in ritirata fecero esplodere la polveriera centrale, incendiarono la caserma Carlo Alberto e danneggiarono il Fronte di gola.
Nel dopoguerra il forte venne abbandonato e recuperato negli anni '90 dalla regione Piemonte.

E iniziamo ora la scoperta di questa opera titanica!

Partiamo dal Rivellino, opera avanzata che aveva il compito di difendere la via d’accesso principale del forte. Esso si presenta a forma di L, casamattato verso l’esterno e delimitato verso l’interno da un muro difensivo scandito da numerose feritoie.
Al di sopra delle casematte si sviluppa un cammino di ronda lungo il quale si aprono una serie di feritoie che battevano la spianata antistante al Fronte superiore. Per superare il forte quindi era necessario varcare il primo ponte semi-dormiente (fisso con una parte mobile) sul fianco sinistro del rivellino, percorrere la strada affiancata dal muro difensivo, attraversare un secondo ponte dormiente e varcare il secondo portone di Porta Francia. Sono da notare i sistemi per l’apertura dei ponti ancora presenti.Ora all’interno del Rivellino è stato impiantato un bar ma la struttura originale è stata conservata ancora in gran parte originale poteva andargli sicuramente peggio.

Ma torniamo alla Porta Francia, recentemente restaurata e riportata allo splendore originale.
Presenta 4 cannoniere svasate e al di sotto della parte terminale del ponte (una volta levatoio) vediamo apparire la poterna, ingresso nascosto che collegava il fossato all’opera principale.
Ora entriamo nel fossato e lo percorriamo per tutto il Fronte superiore, una cinta bastionata che sbarrava la valle da Porta Francia al Fortino.

Lungo tutta la cinta sono presenti feritoie, casematte e particolari caditoie, che permettevano di battere il fossato dal camminamento di guardia. Chiudeva il Fronte superiore il Bastione di Neirassa che lo collegava, tramite un doppio portone, con il complesso del Fortino. Nel Bastione Neirassa inoltre era presente anche una polveriera oltre a magazzini e laboratori. Dentro tutto il Fronte superiore è stato allestito il museo di Montagna in Movimento, un museo interattivo dedicato alla vita in montagna e alla val Stura.
Da notare la serie di casematte con ancora i binari di posizionamento dei pezzi di artiglieria.
Entriamo ora nel Fortino, struttura rialzata rispetto al forte composta da una caserma di 3 piani con i fianchi bastionati, una polveriera e una serie di postazioni d’arma e di fucileria. La caserma ospitava l’ospedale militare e nel piano superiore la colombaia.


Tutte le scalinate della fortezza erano provviste di scivoli per permettere la salita e la discesa dei pezzi di artiglieria.
Lasciamo ora il fortino e torniamo indietro fino a Porta Francia e imbocchiamo il Bastione centrale. La prima cosa che notiamo è lo sventramento di 2 casematte effettuate nel 1927 per far passare la statale tramite un ponte sul fossato (Visibile nella prima foto del Rivellino) Tale ponte però fu fornito di due fornelli da mina presenti sui pilastri in modo di farlo brillare in caso di invasione nemica.
Percorriamo ora tutta la cinta del Bastione centrale aperta liberamente a tutti, attraverso una serie continua di postazioni di artiglieria e riservette trovando ogni tanto le casematte modificate nel 1940 e trasformate in postazioni per mitragliatrici Fiat modello 35 e per cannoni da 47/32 modello 1935.

Postazione per mitragliatrice e postazione per anticarro.
Proseguendo all’interno delle casematte arriviamo al Fronte inferiore, la parte terminale della fortezza. Il Fronte si sviluppa a due piani, con magazzini al primo piano e casematte al secondo.
I due piani erano collegati tra loro tramite una scala a forbice e una galleria di traversa, dotata di feritoie da ambo i lati, collegava con la Galleria di gola, una linea bastionata parallela al Fronte inferiore, delimitando così il cortile del Fronte Stura.
All’estremità del Fronte inferiore troviamo la Batteria dei cannoni a sfera, 2 casematte dalla linea moderna rispetto al Forte costruite nel 1877 per posizionare i cannoni da 15 in acciaio in installazione a sfera Krupp.
Nel 1939 fu installato nell’ultima casamatta un cannone 75/27 modello 1906. A collegare la Batteria a sfera con la Galleria di gola troviamo il Fronte Stura, costruito per battere le rive del fiume.

Il Fronte Stura comprende una cortina provvista di feritoie e un bastione orientale (a occidente c’è la Batteria dei cannoni a sfera). Nella cortina troviamo una porta che permette di uscire dal Forte costruita nel novecento quando erano cessate precise necessità difensive.

Nel cortile interno oggi è stata posizionata una struttura polifunzionale che, a dirla tutta, non fa proprio una bella figura. L’ultimo tratto di mura del Forte è quello della Galleria di gola, una serie di casematte, che dal Fronte Stura sale fino alla caserma Carlo Alberto.

Ed eccoci giunti al cuore del Forte, la caserma Carlo Alberto. La caserma si presenta a forma rettangolare con due tamburi difensivi dotati di feritoie che permettevano di controllare e battere l’area dell’ingresso. Il tamburo di sinistra era destinato a ospitare il parco buoi, che in caso di assedio avrebbero garantito un’ulteriore scorta di cibo per i soldati. L’ingresso era protetto da un profondo fossato attraversato da un ponte semi-dormiente oggi entrambi scomparsi.
La caserma si sviluppa su due piani con sottotetto abitabile all’occorrenza, il tutto caratterizzato da un porticato che ne ripercorre lo sviluppo. Ai primi piani c’erano gli alloggi dei soldati, le cucine e vari magazzini mentre nei secondi gli alloggi degli ufficiali e i loro studi. E’ presente inoltre una chiesetta e le scuderie. La Caserma oggi è la parte più disastrata, data alle fiamme dai tedeschi nel 1945 e saccheggiata di ogni bene rimasto nel dopoguerra. Recentemente si è iniziato il restauro di una parte, anche se ne dovrà ancora vedere prima di raggiungere il suo antico splendore.

A supportare questa fortezza esistevano altre opere minori che sbarravano posizioni chiave, opere che purtroppo per mancanza di tempo non sono riuscito a vedere. Queste opere coinsistevano nella Batteria di Neghino, il corpo difensivo della Sources, la Batteria Serziera, la Batteria Piroat, le Trune di Trent e i trinceramenti di Testa Rimà.
Alla Prossima!